Le criticità del sud esigono un patto sociale più che una crisi di governo

Il cambiamento epocale in atto, dalla pandemia alla guerra ucraina, dall’inflazione galoppante (8%) ai mutamenti climatici, dalla crisi idrica ad una crisi energetica peggiore di quella del 1973, quando si fu costretti a viaggiare a targhe alterne, pone certamente questioni inedite che, proprio per questo, meriterebbero responsabilità altrettanto inedite dalla politica e dalle istituzioni, da quelle nazionali alle periferiche.

L’attuale crisi di Governo, quasi non bastasse, pone sotto la lente d’ingrandimento  europeo e mondiale il nostro Paese, al netto di come andrà a finire mercoledì prossimo, dopo il dibattito in Parlamento.

Sta di fatto che tale crisi non rassicura gli animi dei nostri concittadini, tanto più che la politica non ha offerto, dopo le ultime elezioni nazionali, grandissima prova di sé, specie quando ha costretto ad un secondo mandato settennale il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e, questi, a fare ricorso ancora una volta ad un capo di Governo tecnico, seppur di altissima caratura come Mario Draghi, dopo due Governi precedenti dalle maggioranze politiche ibride.

Lungimiranti e condivisibili le recenti parole del segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin: «Credo che nello scenario attuale più un Governo è stabile più riuscirà a far fronte alle tante sfide che oggi si pongono e che sono sfide davvero epocali. I problemi si affrontano, la stabilità di governo facilita certamente. Dobbiamo metterci tutti a lavorare insieme e non dividerci».

Infatti, in un sistema produttivo ed occupazionale tornato in Italia all’incirca ai livelli del 2019, è in agguato il rischio che molte fabbriche aprano a giorni alterni mentre moltissime sono già in chiusura ed è comprovata l’inarrestabile erosione dei redditi delle famiglie, delle lavoratrici e lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, già soggetti a salari e pensioni in molti casi ai limiti della sussistenza.

Spietati al riguardo si rivelano i dati Istat, secondo i quali un lavoratore su quattro in Italia guadagna meno dei 780 euro del reddito di cittadinanza (fonte: Inps) mentre nel Mezzogiorno e segnatamente nel territorio Taranto Brindisi di cui abbiamo la rappresentanza, il quadro dell’emergenza lavoro si declina con una vertenzialità a tutto campo tra aziende in crisi, cassa integrazione, lavoro precario o sotto pagato o, ancor peggio, a tempo e con migliaia di giovani in cerca di un lavoro stabile e dignitoso magari sostenuto da processi formativi che ne arricchiscano conoscenze e competenze.

Tutto ciò rappresenta l’altra faccia della medaglia della pandemia sanitaria, quella che produce costi economici, sociali e umani, aumentando sempre più diseguaglianze e povertà.

Le risorse del Pnrr, del Fsc, dei Fondi strutturali, continuamente evocati, non saranno sufficienti se non accompagnate da un piano concreto di politiche industriali che traccino linee guida per una visione di insieme delle tante opportunità che insistono sul territorio: portualità, retro-portualità, Zes, logistica, siderurgia, energia, economia circolare, cantieristica, l’eccellenza del settore aeronautico, la chimica di base e farmaceutica, senza trascurare i CIS di Taranto e Brindisi con le relative bonifiche.

Senza trascurare l’economia del mare, l’agroalimentare, l’enogastronomia, l’horeca, il crocierismo con i relativi servizi e, inoltre, le nostre università auspicando che queste acquisiscano livelli formativi e competitivi con altre realtà di eccellenza, così bloccando la mobilità passiva dei nostri giovani verso altre realtà regionali, le quali riescono a tesorizzare le competenze di cui si impoverisce il Sud.

Il nostro territorio ha una vitale necessità di attirare l’attenzione delle istituzioni, della politica, del sistema imprenditoriale, affinché i meri elenchi si traducano in effettivo lavoro, in occupazione buona e aggiuntiva, prevenendo il rischio di restare spettatori impotenti di fronte a scelte industriali sciagurate, a partire dalle vertenze emblematiche che coinvolgono il futuro dell’ex Ilva a Taranto e della Centrale Enel Federico II a Brindisi.

E’ qui che insistono, al servizio del Paese, le due realtà produttive che più di qualsiasi altra realtà industriale nazionale vivranno una stagione di transizione e di trasformazione con un impatto notevole su produzione, economia, ambiente e occupazione.

Processi questi, che non possono che essere accompagnati da una regia responsabile dei livelli istituzionali nazionali, espressione di Governi stabili.

Per questo auspichiamo che si metta fine ai giochetti di Palazzo per esclusivi interessi di una parte politica e ci si concentri sulle fragilità emerse con la pandemia alle quali ancora non sono arrivate risposte evidenti, come nella sanità (che non è solo interrogarsi sulla opportunità di costruire nuovi Ospedali), come nella scuola, nei servizi sociali, nei sistemi produttivi, nelle infrastrutture e soprattutto nella pubblica amministrazione privata di organici e professionalità da decenni di tagli e mancanza di turn over.

Anche per questo, da tempo, con il nostro segretario generale Luigi Sbarra la Cisl chiede di sottoscrivere un Patto sociale per il Paese, da declinare a seguire anche ai livelli territoriali, perché nessuno può pensare di salvarsi da solo in un mare in burrasca laddove non è sufficiente che ci sia solo un capitano che governa la nave, senza un intero equipaggio che ne condivida le scelte esercitando corresponsabilità.

di Gianfranco Solazzo – Segretario Generale CISL Taranto Brindisi

18 luglio 2022

 

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