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Solazzo (Cisl): deindustrializzazione, virus senza vaccino che non deve contagiare anche Brindisi

Deindustrializzazione e alternative agli attuali assetti industriali, pare divenuto il pensiero unico in varie tavole rotonde, in convegni, seminari, editoriali.

Paradossalmente accade, poi, che alla notizia di una fabbrica suscettibile di chiusura e di consequenziale azzeramento di forza-lavoro si dimostra solidarietà avanzando richiesta di intervento da parte di una o dell’altra istituzione.

E poi, si propongono teoriche strategie accostate a nuove economie presumibilmente in grado  di sostituire le attuali realtà industriali che, per decenni, si sostiene abbiano prodotto solo tragedie.

Chissà se questi dottori in catastrofi industriali hanno fatto mai un giro all’interno di quelle grandi fabbriche che, invece, per decenni hanno assicurato occupazione, crescita e sviluppo anche culturale del territorio.

 Due esempi su tutti?

Eccoli, Bagnoli (Na – ex Ilva) e Termini Imerese (Pa – ex Fiat), dove dopo decenni l’avvenuta deindustrializzazione vede ancora oggi ettari ed ettari di territorio da bonificare, interi quartieri ormai abbandonati, la triste realtà di lavoratrici e di lavoratori, in particolare ex Fiat, che vivono di sostegno al reddito da anni.

Ci sarà certamente chi plauderà per la eventuale ritirata del deposito GNL di Edison, come ci furono vinti e vincitori (chissà se anche il lavoro e l’economia del territorio!) a suo tempo per quella di British Gas.

 E, a seguire, ci sarà chi plaudirà alla chiusura della Centrale Enel Federico II, come a suo tempo ci fu chi si esaltò per la chiusura della centrale termoelettrica di Brindisi nord.

Poi? Nessun dubbio: si smantelli pure il petrolchimico oltre al farmaceutico come partita di giro per indennizzare il territorio per tutti i danni subiti, come viene rivendicato da più parti.

Certo, sarà interessante conoscere quale sarebbe la strategia funzionale alla salvaguardia di quelle che saranno le migliaia e migliaia di ex dipendenti di indotto e appalto ruotante intorno a quelle industrie, una volta chiuse.

Forse che la cosiddetta decrescita felice ha già individuato per questa Città la realtà ideale dove attecchire?

Abbiamo apprezzato ed anche chiesto di velocizzare le tante proposte di investimento nella cantieristica navale, nella logistica, nelle fonti rinnovabili e relative filiere, che definiamo investimenti aggiuntivi e non alternativi agli assetti industriali attuali.

Così come ci pare assolutamente essenziale investire nel porto e nella retroportualità, considerando, però, come sempre abbiamo sostenuto, che i porti senza industria non sviluppano granché di economia e occupazione.

Si faccia attenzione e non si scherzi con le parole né con gli slogan, perché la storia di Brindisi dovrebbe aver insegnato che quando non c’è più il lavoro, quello vero, quello che si tocca con mano, le alternative diventano ben altre.

Adriano Olivetti, imprenditore illuminato, dimostrò che fabbrica e cultura possono camminare di pari passo e come la responsabilità di fare impresa in una comunità riesca ad incentivare, realmente, anche l’economia della conoscenza e la coesione sociale.

Poeti, pittori, scrittori, economisti, furono coinvolti dalla sua grande capacità di fare impresa, legandola alla crescita economica e culturale del territorio, promuovendo non solo lo sviluppo della fabbrica oltre i confini nazionali ma anche attrezzando biblioteche, centri culturali e promuovendo la rigenerazione urbana.

Insomma, contrariamente al pensiero comune che rischia di far proseliti dalle nostre parti, la fabbrica per l’Olivetti-pensiero era un vero e proprio strumento di crescita del territorio, per migliorare le condizioni di vita di tutti, grazie anche ad un welfare su misura, a servizi per i dipendenti e per la città e, appunto, alla cultura.

Siamo stati tra i primi, come Cisl ad apprezzare la candidatura di Brindisi a Capitale Italiana della Cultura 2027, per le sue evidenti peculiarità, le bellezze paesaggistiche e monumentali, il suo mare, la sua agricoltura, la sua capacità ricettiva, il suo porto, ecc.

Ma attenzione a continuare a demonizzare quei settori appartenenti al mondo dell’industria,  che concorrono a fare dell’Italia la seconda manifattura d’Europa, dopo la Germania e producono occupazione stabile, legale, contrattualizzata e di quantità produttiva non sostituibile da altri settori, considerando altresì che è con l’industria che si investe in ricerca e nuove tecnologie.

Allora si torni tutti alla ragione ed alla chiarezza, rivendicando insieme che si fermi lo smantellamento industriale di questo territorio, iniziando con l’opporsi alla chiusura anticipata della Federico II.

E lo si faccia, sia per mancanza di alternative a breve per i lavoratori diretti e indiretti e per il sistema delle imprese legato alla Centrale, sia per una situazione di vulnerabilità geopolitica che vede sempre l’Italia fortemente dipendente dal punto di vista energetico per di più da paesi instabili politicamente.

Ricordiamo che se in sede di G7 si è trovato l’accordo di uscire dal carbone entro il 2035 noi crediamo che chiudere a Cerano uno-due anni oltre il 2025 sarebbe una scelta responsabile dal punto di vista economico e occupazionale per questo territorio.

Il ministro Gilberto Pichetto Fratin sia sollecitato ad ascoltare questo invito da parte di tutta la classe dirigente del territorio, nessuno escluso, se si intende realmente non procurare un ulteriore e pesante danno occupazionale, come quello intrapreso dalla SIR società dell’indotto Enel, la quale ha avviato la procedura di riduzione di personale (ex legge 223/91), senza trascurare altre perdite di posti di lavoro subiti nel settore dei servizi e dell’appalto della stessa centrale.

Da tempo abbiamo rivendicato per Brindisi, una Legge nazionale ad hoc che provveda a rilanciare i settori qui presenti, con investimenti pubblici e privati che coinvolgano i grandi player impegnandoli ad investire sul territorio e non solo in altre parti del Paese, se non addirittura all’estero.

Immaginiamo una golden power per Brindisi dove, appunto, lo Stato garantisca e agevoli il rilancio dell’industria sul territorio anziché il suo depauperamento.

Noi come Cisl ribadiamo e rilanciamo la nostra proposta di Patto di responsabilità, che veda insieme chi realmente e coerentemente intende partecipare al bene comune del territorio, per salvaguardare il lavoro di oggi e quello di domani, così dando speranza ai nostri giovani con i fatti, non con i sogni, non con gli slogan e non con parole vuote.